L’Acquedotto Medievale di Salerno, chiamato appunto “Ponti del Diavolo”, ha un lungo e glorioso passato, fatto di storie e di leggende, di importantissimi “primati” artistici e di eccezionale funzionalità ingegneristica.
Fu costruito dai Longobardi verso l’ VIII – IX secolo, poi restaurato dai Normanni nell’ XI secolo. La struttura aveva la finalità di approvvigionare di acqua i Monasteri di San Benedetto e Piantanova. L’acquedotto si divideva in due rami: uno lungo la direttrice nord-sud, l’altro in direzione est-ovest; il punto d’incontro dei due bracci è l’incrocio delle attuali Via Arce, Via Velia, Via Fieravecchia e Via Gonzaga. L’acquedotto era lungo in totale (somma dei due bracci) circa 650 metri.
Come detto poc’anzi, si tratta di un’opera eccezionale in quanto a forma architettonica, in quanto a importanza e riconoscibilità che ebbe ne corso dei secoli e in quanto a funzionalità.
Partiamo da quest’ultimo punto: la funzionalità. L’Acquedotto nacque per approvvigionare i monasteri cittadini. Si trattava di una grandissima idea: il sottosuolo della città di Salerno è pieno di corsi d’acqua, torrenti, ruscelli, rigagnoli; si tratta di acque che, nella maggior parte dei casi, nascono nella zona più antica della città, detta “Plaium Montis”, sita al di sotto del Monte Bonadies (dove sorge il Castello Arechi) e degli altri colli che sovrastano la città. Grazie a tali acque (in particolare quelle del Torrente Fusandola) era possibile, ad esempio, irrigare l’Hortus Magnus della Scuola Medica Salernitana, il noto “Giardino della Minerva”.
Dunque, tornando all’Acquedotto, le maestranze longobarde riuscirono a canalizzarvi le acque di un altro canale cittadino, il torrente Rafastia, che oggi parte dal “Colle Grande” e scorre nel Vallone Cernicchiara, poi s’interra nel sottosuolo, al di sotto dell’attuale Trincerone, proseguendo per Via Velia e sfociando a mare, sotto il lungomare (altezza Camera di Commercio). All’epoca il Torrente era già noto: il Chronicon Salernitanum del X secolo lo chiama “torrente Faustino” e spiega che scorreva nel settore orientale delle Mura medievali. La costruzione dell’acquedotto fu geniale, in quanto riuscì in un colpo solo a risolvere tre problemi: l’approvvigionamento dei Monasteri di San Benedetto e Piantanova, l’assetto idrogeologico precario della zona del torrente Faustino/Rafastia e… la difesa dall’assalto dei nemici. In epoca longobarda, nella zona del Torrente Faustino, erano site le mura orientali della città ( numerose torri di guardia); ma sull’altra sponda del Faustino vi era una sorta di altopiano: qui spesso si appollaiavano soldati nemici che, tramite l’utilizzo di catapulte, riuscivano a scavalcare le mura. La costruzione dell’altissimo acquedotto mise fine a questo pericolo! Inoltre, canalizzando le acque sui due piani dei “Ponti del Diavolo”, si tolse vigore alla mole d’acqua del Rafastia, evitando, per tutto il Medioevo, le terribili esondazioni che avevano funestato la città nei secoli precedenti e che ripresero a funestarla nell’era successiva, quando l’Acquedotto smise di funzionare. L’ultima terribile esondazione del Rafastia avvenne nel 1954 quando, a seguito della nota violenta alluvione, il torrente provocò in città morte e distruzione. Dunque, gli ingegneri longobardi avevano elaborato davvero un grande progetto, che purtroppo non fu studiato a dovere dagli amministratori pubblici che vennero dopo di loro e, probabilmente, neanche dagli attuali, visto che il Rafastia ancora oggi non è stato completamente irrigimentato e presenta problemi dovuti alla sua eccessiva portata d’acqua (che scorre sotto il manto stradale).
Ma torniamo alla storia, anzi alla leggenda…
I cosiddetti Ponti del Diavolo, realizzati in epoca longobarda a Salerno, sono così denominati in quanto, secondo una leggenda, divennero visibili ai cittadini all’improvviso, da un giorno all’altro, come per una magia demoniaca. E, alla loro comparsa, spaventarono i cittadini a causa della loro insolita e lugubre forma appuntita, ravvisabile negli inediti archi a sesto acuto.
Per la prima volta, in un’epoca ancora di architettura romanica, fu utilizzato l’arco ogivale, tipicamente gotico; solo dall’anno 1000 in poi l’arco ogivale sarà utilizzato in altri acquedotti. E nell’Italia Meridionale (e probabilmente anche in quella settentrionale) l’arte gotica non era ancora approdata; gli unici esempi di archi ogivali erano (forse) in Francia. Dunque, i Ponti del Diavolo godono di questo importante primato, rappresentando una grandissima innovazione, rispetto al periodo in cui furono edificati.
La forma acuminata degli archi stimolò la fantasia dei salernitani; con il passare dei secoli si diffuse la leggenda che fosse stato il noto alchimista Pietro Barliario, nell’ambito dei suoi riti magici, sotto l’influsso del demonio, a far apparire tale enorme struttura. Una leggenda in verità anacronistica, oltre che inverosimile: Barliario visse in un periodo successivo all’edificazione degli Archi.
L’Acquedotto, inoltre, incrocia la sua storia con quella della massima istituzione della storia cittadina, la Scuola Medica Salernitana.
Secondo una leggenda, infatti, sotto i ponti del Diavolo si incontrarono, per ripararsi in una notte burrascosa i quattro fondatori della Scuola Medica Salernitana, che vide la luce in quegli stessi anni: l’arabo Adela, il greco Ponto, l’ebreo Elino e il latino Salerno. I quattro erano feriti e presero a medicarsi le proprie ferite, l’un l’altro; si accorsero, così, che ciascuno aveva un diverso modo di curarsi e rimasero affascinati dalla cultura medica degli altri. Tale leggenda è una sorta di metafora esemplificativa di ciò che avvenne in quegli anni (IX – X secolo) a Salerno: vi era uno straordinario clima multiculturale e multietnico, che fu in effetti alla base della contaminazione di conoscenze mediche importanti tra le varie comunità etniche presenti in città (appunto latina, greca, araba ed ebraica) e diede il la alla Scuola Medica Salernitana! E l’esistenza stessa di questa leggenda ambientata presso l’Acquedotto fa comprendere quanto i Ponti del Diavolo fossero un luogo ben noto e riconoscibile nel senso comune non solo a Salerno, ma probabilmente in tutto il Mezzogiorno d’Italia.
(tratto da citiciensalerno)